di Leonardo Dri

Da Alessandro Magno in poi non possiamo che subire il fascino dei grandi leader. Ci lasciamo emozionare dai racconti delle loro gesta, dalle capacità strategiche e tattiche, e dall’impatto che hanno avuto sulla storia. 

Parliamo dei grandi condottieri dell’antichità, come Giulio Cesare, o l’Imperatore Adriano. O quelli che vengono da culture lontane dalla nostra, come Gandhi, Mao o Che Guevara, per quanto possiamo essere lontani dalle ideologie che li hanno animati. Di alcuni, che pure ai loro tempi sono stati osannati, ci vergognamo profondamente, come Hitler, o Mussolini. Pensiamo agli eroi del capitalismo, che da soli hanno creato imprese che hanno cambiato il mondo, come Bill Gates, Jeff Bezos, Steve Jobs, Elon Musk.

Che li sentiamo vicini o lontani, queste sono le figure con cui ci confrontiamo nella nostra vita, sforzandoci di somigliare a essi, o distaccarcene il più possibile.

Anche basta.

Abbiamo davvero bisogno di questi leader? Abbiamo davvero bisogno di eroi che ci salvino?

Il viaggio dell’eroe è considerato il più diffuso archetipo letterario in assoluto, e non a caso: sembra esserci un che di magnetico in quella storia caratterizzata da un uomo comune che da un giorno all’altro viene costretto ad affrontare un viaggio contro il mondo, ma anche contro se stesso, che lo porterà a ristabilire un nuovo ordine, indubbiamente migliore del precedente.

Per uno come me, cresciuto a pane e Tolkien, è fin troppo facile immedesimarsi in Frodo, Sam o Gandalf, e immaginare di essere un eroe. Ma la verità è un’altra: in ogni storia c’è spazio solo per un manipolo di eroi, e il ruolo che la maggior parte di noi si trova a interpretare è quella del cameriere senza nome, che porta una pinta di birra alla Compagnia mentre è ferma alla locanda, e di cui non viene nemmeno mai svelato il nome.

Del resto, quel personaggio è totalmente irrilevante per la storia. A che pro approfondirne la psicologia e il vissuto? A che servirebbe conoscere i suoi gusti e le sue aspirazioni? 

Ci lasciamo trascinare dalle biografie di personaggi “di successo” perché cerchiamo di seguirne le orme, ma a provarci non saremo mai che una loro brutta copia. 

Perché la verità è una e semplice: a Elon Musk forse interessa di portare l’uomo su Marte, e magari lo desidera perché prova una sorta di amore compassionevole verso l’umanità. Ma di me e di te, personalmente, non gliene frega nulla.

A Frodo Baggins non interessava il benessere psicologico delle guardie di Gondor. Samvise Gamgee non si sarebbe preoccupato se una bimba di pochi mesi avesse preso la bronchiolite a causa delle cattive condizioni igieniche in cui viveva. Gli eroi tradizionali a cui siamo stati abituati sono così: sono interessati al loro grande obiettivo. Nessuno si è posto il problema di cosa volessero davvero le genti intorno a loro. Hanno accettato una missione che un gruppo di nobili ha detto loro che era importante, e ci si sono imbarcati.

E agli orchi non ha mai pensato nessuno? Davvero la mediazione con Saruman e Sauron era impossibile?

Ora, il problema non è la struttura narrativa del Signore degli Anelli, che non mi sognerei di cambiare di una virgola, ma il ruolo che attribuiamo all’eroe, oggi. Ci aspettiamo che manager e imprenditori siano eroi, che prendano decisioni “giuste” senza nemmeno interpellarci. Li ringraziamo per le imprese che compiono, senza nemmeno chiederci davvero se quelle imprese nel medio e lungo periodo faranno il nostro bene.

Il punto è che il leader che riconosciamo come eroe è profondamente egoriferito

Si tratta di un leader la cui relazione sembra essere monodirezionale: può pretendere qualcosa da noi, ma noi a nostra volta possiamo solo ringraziare per i doni che sceglie di farci.

Io non ci sto.

Credo che il significato della leadership sia profondamente diverso. Un capo eroe è comodo, perché ci scarica della responsabilità. Ci permette di non pensare, e di limitarci a obbedire. Ci consente di vivere nella pigrizia mentale, senza che ci sia data la possibilità di rifiutare la sua gentilezza.

Sì, perché viviamo nell’epoca della leadership gentile, ma la gentilezza non richiesta, non mi stancherò di dirlo, non è che l’ennesimo atto di violenza.

Non credo all’obbedienza, ma alla responsabilità.

Non credo all’eroismo, ma all’autonomia.

Non credo all’ego ipertrofico, ma all’inutilità.

Quella di capo inutile è una provocazione che ho lanciato nel mio libro, e poi nel mio TEDx, dopo diversi anni di ricerca sulla relazione di leadership. Mi sono reso conto che, se da una parte la leadership è un fenomeno estremamente complesso che coinvolge innumerevoli variabili relazionali, dall’altra può essere riassunto da un’equazione molto semplice e molto elegante: tanto più un capo si rende inutile, quanto più i suoi collaboratori saranno responsabili, autonomi, proattivi e motivati.

Il vero potere di un leader, insomma, è abilitare gli altri a esercitare il loro potere. Ma per riuscirci deve lasciar andare il suo ego, abbandonare l’aspirazione di essere un eroe, e scegliere di abilitare davvero il suo team.

La storia, probabilmente non lo ricorderà.

Le sue imprese non diventeranno materia di leggenda.

Il suo ricordo sparirà perfino dalla mente dei suoi collaboratori, che attribuiranno a loro stessi, e non a lui i suoi meriti.

Cosa resta, quindi, di un leader inutile? Nulla, se non la consapevolezza di essersi fatto da parte, per fare in modo che fossero gli altri a prendere il massimo dello spazio possibile. Nulla, se non l’aver reso una piccola parte di mondo un posto un pochino migliore.

Riferimenti

Leonardo Dri

 

Consulente, Formatore e Coach. Gli piace dire che se in azienda usi nella stessa frase le parole “persone” e “problema”, allora hai bisogno di lui.

Attivamente impegnato nella ricerca sulle dinamiche organizzative, ha scritto quello che dice essere il primo libro al mondo veramente scientifico sulla leadership: “Chi comanda qui?”. Ha anche tenuto il TEDx dal titolo “Il mondo ha bisogno di più capi inutili”.

Negoziatore professionista, si diverte a sbloccare trattative internazionali apparentemente fallite. Ma anche grande appassionato di modelli organizzativi e relazionali, è particolarmente interessato a comprendere i modelli Teal e purpose-driven e il loro funzionamento applicato.

Papà e marito, pensa di essere bravo a fare la pizza fatta in casa, ma più di tutto è un lettore e un curioso compulsivo.