di Salvatore Poloni
Immagine di copertina generata con tecnologia DALL E3
L’intelligenza artificiale è sicuramente l’argomento del momento e, ancora di più, non c’è tema, tecnico o sociale che sia, che non contempli una declinazione che includa l’intelligenza artificiale.
L’impatto sulla leadership
Questo, non solo è condivisibile, ma ci dice immediatamente quanto l’intelligenza artificiale sia “pervasiva” e, conseguentemente, non si possa e non si debba fare a meno di tenerla in considerazione rispetto ad ogni riflessione, analisi, studio o anche semplice approccio ad ogni aspetto che si voglia affrontare.
Nel mio libro “La leadership delle virtù”, edito da Franco Angeli, ho trattato brevemente, in relazione al più ampio tema della leadership, anche dell’intelligenza artificiale. Non vi è dubbio, infatti, che anche la leadership ne sia impattata, in termini di responsabilità e dinamiche che si sviluppano nell’esercizio della leadership stessa.
In particolare, in quell’occasione, ho messo in evidenza come, rispetto alla digitalizzazione, “tutt’altra attenzione bisogna riservare all’intelligenza artificiale tanto più se abbinata a sistemi di machine learning. Per restare sulla metafora dell’energia elettrica, potremmo dire che mentre la digitalizzazione offre la possibilità di accendere la luce, con l’intelligenza artificiale si realizza la facoltà di decidere a chi, dove e quando accendere la luce e con il machine learning il sistema impara da solo nel tempo a chi, dove e quando accendere la luce”.
Ovviamente, questa metafora non deve essere interpretata nel senso di ostilità all’intelligenza artificiale, ma al contrario, proprio perché utile, importante e potente, è un “oggetto” che va maneggiato con cura, attenzione e tanto senso di responsabilità. Quindi non va equiparata all’introduzione e allo sviluppo di altre tecnologie, richiede viceversa scelte consapevoli, anche e prima dal punto di vista etico, che “non possono essere declassate a scelte tecniche delle quali devono occuparsi le persone dell’information technology. In altre parole, così come per molti altri aspetti, le scelte strategiche competono al board o ai massimi vertici aziendali, alle strutture operative compete la responsabilità dell’implementazione delle strategie e l’esecuzione coerente con tali scelte”.
Detto questo e senza voler fare una trattazione organica e completa su una materia così vasta e articolata, credo che ci siano altri aspetti dei quali occorra tener conto.
AI Act, la scelta di fondo europea
In primo luogo, vanno sottolineati gli aspetti regolamentari.
Ora, sappiamo tutti della recente definizione della regolamentazione europea AI Act ma, prima ancora di fare i conti con il contenuto ritengo utile considerare la scelta di fondo fatta dagli Organi europei.
A livello globale l’Europa, ancora una volta si trova a fare i conti con i due player mondiali che sono Stati Uniti, da un lato, e Cina, dall’altro.
Scontando un’esigenza di semplificazione, occorre ricordare il differente approccio seguito da USA e Cina. Mentre infatti la Cina è leader per quanto riguarda gli investimenti statali, gli Stati Uniti non hanno rivali sul piano degli investimenti privati. Questo dato non stupisce, perché coerente con i rispettivi modelli, quello che rileva è la dimensione degli investimenti e la diffusione di “mercato” dei risultati conseguiti dagli sforzi di ricerca e sviluppo.
Naturalmente le imprese sono tanto più stimolate ad investire in ricerca e sviluppo per conseguire una crescita trainata dallo sviluppo tecnologico, quanto maggiore sarà la possibilità di spalmare i costi fissi su una maggiore produzione con il vantaggio, anche per i consumatori, di avere un minor markup sul costo medio di produzione in termini di prezzo.
Appare subito evidente come size matters e, com’è noto, nel medio lungo periodo sia solo lo sviluppo tecnologico, che tiene conto del capitale di conoscenza, ad assicurare la crescita.
Lo si è visto nella prima e nella seconda rivoluzione industriale in maniera chiara, e si è visto come i paesi che maggiormente ne hanno tratto vantaggio siano stati proprio quelli che erano più globali e che quindi potevano contare su un mercato più ampio come l’Impero Britannico.
In questo l’Unione Europea rappresenta un modello e un’occasione unica nella storia. La costituzione del Mercato Unico, dalla CECA del 1951, alla CEE/EURATOM del 1957, all’Atto Unico Europeo del 1956, al Trattato di Maastricht del 1992, al trattato di Lisbona del 2007, offre a imprese e consumatori indubbi vantaggi. Mi limito ad alcune considerazioni di livello generale. Se è vero, come è vero, che i modelli di crescita richiedono che vi sia uno sviluppo tecnologico, quindi delle competenze umane, della ricerca e sviluppo, ecc., questo sarà tanto più possibile quanto maggiormente siano assicurate le quattro libertà fondamentali dell’UE: libera circolazione dei prodotti, libera circolazione dei servizi, libera circolazione delle persone (inizialmente si parlava solo di circolazione dei lavoratori) e, infine, libera circolazione dei capitali.
I vantaggi per imprese e consumatori
Tutto questo consente principalmente due cose, entrambe vantaggiose per imprese e soprattutto consumatori: la più efficiente allocazione delle risorse e la distribuzione dei costi fissi di produzione su numero maggiore di prodotti. Poiché destinati ad un mercato più ampio, senza barriere doganali o limitazioni di quote, i prodotti avranno, come detto, un minor markup rispetto al costo medio di produzione e questo è un indubbio vantaggio per i consumatori, che potranno avere prodotti migliori a prezzi più bassi, ma lo è anche per le imprese che possono diventare più solide e avanzate rispetto alla concorrenza globale.
Quindi per ritornare al nostro punto, il fatto che l’Unione Europea si occupi di Intelligenza Artificiale è utile già sotto questo primo punto di vista: su un tema così rilevante e impattante, che vede pesantemente coinvolti i due leader globali, Stati Uniti e Cina, solo l’Europa in quanto tale può avere la dimensione sufficiente per giocare un proprio ruolo.
Certamente non è sufficiente che questo avvenga solo a livello regolamentare, non sfugge a nessuno che occorrerebbero maggiori investimenti e sinergie per la costituzione di player in grado di competere con i maggiori operatori extra europei ma, al tempo stesso, non credo che sarebbe corretto liquidare lo sforzo compiuto dall’Unione Europea come unica cosa che sia stata in grado di fare non riuscendo ad agire su altri livelli. In altre parole, la critica semplice e a volte anche un po’ banale che viene mossa all’Unione Europea, che non riuscendo a fare altro si limita ad emanare regolamentazioni inutili o peggio addirittura dannose, se mai fosse lecita in altri settori, non riterrei che lo sia su questa materia.
Se, infatti, si condivide la considerazione che l’Intelligenza Artificiale sia argomento che debba essere di competenza del board e dei vertici aziendali anche per i profili etici ad esso intrinseci, non si può non apprezzare l’assunzione di responsabilità fatta dall’Unione Europea con lo sforzo regolamentare che teso a tutelare i singoli ma anche gli operatori offrendo un framework certo anche a chi ha la delicata responsabilità di vigilare.
Non volendo addentrarmi, in questo contesto, in un’analisi del testo europeo, che pure raccomando a tutti coloro che si occupano della materia, vorrei ricordare tre elementi di difficoltà legati alla dimensione temporale. Elaborare ed emanare una regolamentazione in una materia articolata e complessa come questa richiede tempo, l’iter e la distribuzione delle competenze in seno all’Unione Europea richiedono tempo, lo sviluppo tecnologico non aspetta e quindi progredisce nel tempo.
Appare evidente come il tempo sia un fattore critico col quale occorra fare i conti continuamente. Un esempio su tutti, quando nel 2019 è iniziato l’iter normativo non si parlava ancora di Intelligenza Artificiale Generativa, ma solo di Intelligenza Artificiale, l’aspetto Generativo ancora non c’era e si è aggiunto strada facendo.
L’approccio americano viceversa è stato completamente diverso. Non vi è stata alcuna iniziativa legislativa, sono stati invece le maggiori Società impegnate in questo campo a concordare tra di loro una sorta di regolamentazione comune che poi, in qualche modo, ha ricevuto una sorta di approvazione superiore.
Ora, senza volerci addentrare nei profili giuridici e di produzione normativa che, in maniera evidente, riflettono due approcci strutturalmente diversi, proviamo a fare qualche riflessione macro sulle possibili conseguenze delle disposizioni europee.
In primo luogo, come si è già accennato, vi è una tutela dei cittadini europei rispetto ai potenziali impieghi non corretti dell’intelligenza artificiale. Questo potentissimo strumento, come tuti gli strumenti, dai più banali ai più sofisticati, si presta ad essere impiegato in molteplici direzioni, la soluzione, ancora una volta, non è quella di accettare o vietare lo strumento stesso, ma quella di sforzarsi di disciplinarne l’uso, applicandosi continuamente e parallelamente rispetto alla ricerca.
È richiesto un approccio interdisciplinare, qualcuno ricorderà le fasi pionieristiche della cibernetica, termine che deriva dal greco “pilota di navi”, quando erano coinvolte l’ingegneria, la biologia e le scienze umane. Oggi se ne dovrebbero aggiungere altre ma, in ogni caso, non vi è dubbio che solo un approccio multidisciplinare può consentire risultati apprezzabili.
Ulteriore aspetto riguarda le aziende. Destinatarie di una serie di responsabilità e quindi di regole a cui attenersi, dovranno porre particolare attenzione ad esse ed analizzare attentamente le soluzioni senza farsi abbagliare da prodotti solo per un effetto vetrina che questi possono rappresentare.
Le conseguenze occupazionali
Un’ultima considerazione vorrei riservarla al delicato tema delle conseguenze occupazionali.
Molto spesso, devo riconoscere comprensibilmente, si evidenzia come la diffusa introduzione dell’intelligenza artificiale potrebbe avere effetti negativi sui livelli occupazionali. Questa considerazione si basa sul fatto che se molte più cose vengono fatte dalla “macchina” meno saranno fatte dalle persone.
Ora, non sappiamo ancora se l’introduzione dell’AI possa essere equiparata a una rivoluzione industriale, sappiamo però che le precedenti due rivoluzioni industriali non hanno fatto diminuire i livelli occupazionali, li hanno viceversa aumentai.
C’è però una differenza tra la macchina a vapore, l’elettricità e l’AI, le prime due hanno sostituito lavoro “muscolare”, l’ultima invece riguarda lavoro intellettuale.
Non è una differenza da poco perché, tra le altre cose, apre una riflessione ulteriore su un tema cruciale che è la dinamica demografica.
I numeri, che non sto a richiamare, ci pongono di fronte a scenari davvero complicati in generale ma, se consideriamo coloro che dovrebbero essere gli artefici di quello sviluppo del quale parlavo prima, la situazione è ancora peggiore. Mi riferisco ai giovani che studiano, si iscrivono all’università, completano gli studi e magari proseguono per raggiungere un livello ancora più elevato di competenze. Quello di cui abbiamo bisogno!
Purtroppo, i messaggi continuamente proposti e completamente sbagliati sulla non necessità di studiare non aiutano. Anziché dire ai ragazzi che più investono tempo ed energie per loro stessi nello studio, che è l’unico vero ascensore sociale, che consente di avere quel bagaglio di competenze che garantisce la libertà di scelta anche di che attività svolgere, con chi, in quale paese e a quali condizioni, troppo spesso si sente dire il contrario.
Detto questo, il tema di fondo è che se, purtroppo, non si può fare affidamento su un sufficiente numero di intelligenze umane queste possono avvantaggiarsi dell’intelligenza artificiale per moltiplicare i risultati.
In altre parole, l’AI non come minaccia per l’occupazione ma come opportunità, se ben gestita, per sopperire ad alcuni deficit che siamo costretti a scontare.
In conclusione, per sottolineare quanto sia cruciale e rilevante questo tema, basta ricordare che è stato al centro del G7, appena conclusosi in Puglia, la cui trattazione è stata affidata a Papa Francesco; la prima volta di un intervento al G7 da parte di un Papa.
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La leadership delle virtù, Salvatore Poloni, editore Franco Angeli LEGGI LA NOSTRA RECENSIONE
Salvatore Poloni
Si è laureato in Giurisprudenza con lode ed è abilitato all’esercizio della professione di Avvocato.
Ha svolto la propria attività lavorativa, dapprima nel Gruppo Fiat, dove ha ricoperto ruoli di Responsabilità nell’ambito delle Funzioni Personale e Organizzazione di Fiat Auto S.p.A. e di Responsabile delle Relazioni Sindacali di Sevel S.p.A, successivamente ha ricoperto gli incarichi di Responsabile delle Relazioni Sindacali dell’Istituto Bancario Italiano S.p.A. e di Responsabile delle Politiche del Lavoro di Cariplo S.p.A. e in seguito Direttore Centrale Risorse Umane e Organizzazione Gruppo Bormioli Rocco S.p.A.
Dal 2003 Dirigente del Gruppo Intesa e Responsabile del Servizio del Personale e Organizzazione della Divisione Rete.
Dal 2007 Responsabile del Servizio Personale e Organizzazione della Divisione Banca dei Territori del Gruppo Intesa Sanpaolo.
Dal Luglio 2010 Direttore Centrale Responsabile Direzione Organizzazione e Sicurezza di Intesa Sanpaolo Group Services.
Dal Settembre 2012 Direttore Centrale Responsabile Direzione Personale e Organizzazione di Intesa Sanpaolo Group Services.
Dal Settembre 2015 Cief Organization and Resources Officer del Gruppo Banca Popolare di Milano. Dal Gennaio 2017 al 31.12.2022 Condirettore Generale del Gruppo Banco BPM.
Inoltre, dal Luglio 2018 al Dicembre 2022 Presidente del Comitato Affari Sindacali e del Lavoro, Componente del Comitato di Presidenza e del Comitato Esecutivo di ABI. È stato Consigliere di Amministrazione in diverse società.
Attualmente è Senior Advisor di Banco BPM, Prersidente di Tecmarket del Gruppo Banco BPM, Consigliere della Cassa Mutua Aziendale Banco BPM e Presidente del Fondo Pensioni Banco BPM.
Autore di “La Leadership delle Virtù” edito da Franco Angeli. Appassionato di storia, è autore del libro “La partecipazione italiana alla guerra di Corea (1950-1953)”.
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