di Pasquale Dui

La pianificazione del passaggio generazionale

Se l’imprenditore non provvede per tempo a pianificare il passaggio generazionale, i problemi possono sorgere in un momento inaspettato e senza preavviso, ed essere allineati alle disposizioni testamentarie o alle previsioni della c.d. successione legittima, quella che si apre in mancanza di testamento.

Tutti i beni mobili ed immobili del titolare/imprenditore vengono ereditati sulla base del testamento o nelle quote di legge, ottenendosi, così, un effetto di disgregazione del bene “azienda”, il quale risulterà di proprietà dei soggetti che sono succeduti, eventualmente anche frazionato, in una sterile commistione di interessi diffusi.

Vi saranno gli interessi dei soggetti che vorranno continuare la gestione dell’impresa di famiglia, ma occorrerà – come facilmente intuibile – adattare la suddivisione tra proprietà e gestione, considerato che sarà rara o quasi impossibile la circostanza di una suddivisione che rispetti queste volontà dei superstiti.

Ipotizziamo, per esemplificare, molto linearmente, che l’imprenditore fosse titolare di un patrimonio di 1000 e che avesse lasciato in eredità 333 al coniuge e 333 a ciascuno dei due figli (in assenza di testamento). Se solo uno dei figli fosse interessato alla gestione dell’impresa, egli si troverebbe nella insolita posizione di essere proprietario – comunque vada – del solo 50% dell’azienda, unitamente al fratello (nel nostro esempio ipotizzato come disinteressato alla continuazione dell’impresa familiare).

Risulta evidente che meglio avrebbe fatto il defunto a redigere un testamento che quantomeno, a prescindere di altro, avesse lasciato la proprietà dell’intera azienda al figlio interessato, il quale, verosimilmente, già ci lavora, magari con un incarico gestionale di vertice, quale amministratore o direttore generale.

Se l’imprenditore già in vita predisponesse un apparato giuridico che assicurasse linearità nel passaggio generazionale, prima o dopo la sua morte, avrebbe compiuto un passo lungimirante, quantomeno sotto il profilo strategico, evitando di lasciare alla legge il compito di sgretolare i beni di famiglia, azienda inclusa. 

Già redigere un testamento improntato ad una suddivisione del patrimonio in linea con la pianificazione del passaggio, costituisce un atto di responsabilità da parte dell’imprenditore, ma ha il lato negativo di non poter disporre e disciplinare l’attività dell’azienda nel periodo compreso tra le scelte testamentarie e quello della scomparsa del testatore.

Il patto di famiglia

Il patto di famiglia non è un testamento, ma è il contratto con cui l’imprenditore “anticipa” la propria successione per quanto riguarda il trasferimento della proprietà dell’azienda ai figli o ai nipoti, nell’ottica della continuità dell’impresa.

Oltre che per il trasferimento dell’azienda, può essere usato anche per il trasferimento ai figli della proprietà di quote sociali, anche se si discute se – nel caso delle società di capitali (come Srl, Spa, Sapa) – la norma intenda riferirsi solo alle quote societarie che consentano di acquisire il controllo di un’impresa.

Come si può intuire, il patto di famiglia costituisce una rilevante disciplina nel nostro panorama giuridico: esso dà vita, infatti, a un’importante deroga al divieto di patti successori (ossia la regola secondo la quale non producono alcun effetto – sono nulli – gli accordi che hanno per oggetto la disposizione dei diritti ereditari provenienti da una successione non ancora aperta: ad esempio A vende a B la quota di eredità del proprio padre C, ancora in vita). 

Il patto di famiglia è un contratto per atto pubblico (da farsi quindi innanzi al notaio) e inevitabilmente a titolo gratuito. All’atto notarile partecipano, oltre all’imprenditore e ai figli beneficiari (detti anche “assegnatari”), necessariamente anche:

a) il coniuge dell’imprenditore stesso e

b) tutti quei soggetti che avrebbero la qualifica di legittimari se, in quel momento, si aprisse la successione testamentaria dell’imprenditore.

Il coniuge e i legittimari hanno infatti diritto a percepire, dai figli assegnatari, una somma a titolo di liquidazione del valore delle quote di legittima (in alternativa, la liquidazione può avvenire in natura, ossia ricevendo alcuni beni al posto del denaro): quanto ricevuto viene imputato alla quota di legittima. Si tratta, insomma, di un “anticipo” dell’eredità. La liquidazione può avvenire anche con un contratto successivo, purché collegato al patto di famiglia e con la presenza degli stessi partecipanti.

La disciplina giuridica di base

La relativa disciplina giuridica di base è riportata negli articoli da 768 bis a 768 octies c.c. e per una lineare armonia applicativa deve essere riguardata con quella attinente ai diritti dei c.d. “legittimari”, che sono quei soggetti ai quali è comunque riservata una quota del patrimonio, variamente articolata, secondo la composizione del nucleo familiare.

Poiché la quota riservata, in un nucleo familiare formato da coniuge e più figli, arriva ai tre quarti della massa ereditaria, l’esborso monetario richiesto per realizzare l’operazione sottesa al patto di famiglia si rivela davvero ragguardevole. L’opinione largamente maggioritaria in dottrina ammette la possibilità che della spesa si faccia carico lo stesso disponente, promuovendo una soluzione pienamente compatibile con la natura del patto di famiglia: assegnando l’azienda o le partecipazioni societarie a un discendente, e liquidando gli altri con un valore pari alla loro quota di legittima, il disponente realizza una distribuzione anticipata di una frazione del proprio patrimonio. È vero che la legge sembra imporre tale onere liquidatorio in capo all’assegnatario, ma ciò a ben vedere va correttamente qualificato quale frammento di una più ampia operazione distributiva: il beneficio per l’assegnatario è pari al valore dell’azienda (o delle partecipazioni societarie), detratti gli importi corrisposti ai propri prossimi congiunti; conseguentemente, essi vanno intesi quali beneficiari di un valore che, in realtà, proviene dal patrimonio del disponente. Nulla vieta allora di alterare questo meccanismo, prevedendo una diretta liquidazione da parte del disponente.

Modifica e scioglimento

Il patto di famiglia può essere sciolto o modificato, in due modi:

a) con un nuovo patto di famiglia;

b) se il patto stesso lo prevede, con una dichiarazione di recesso da parte di un partecipante a cui segue una dichiarazione delle altre persone certificata dal Notaio.

È necessario che allo scioglimento o alla modifica partecipino tutte le persone che avevano preso parte al primo patto di famiglia.

Profili fiscali: l’imminente nuova disciplina

Il patto di famiglia è uno strumento che ha molte prerogative sui profili fiscali, attraverso esenzioni ed agevolazioni. Il trasferimento dell’azienda o delle quote all’assegnatario non subisce alcuna tassazione per imposte dirette, alla condizione che l’assegnatario prosegua l’esercizio dell’attività, o mantenga il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dal trasferimento, dovendo rendere, nel contratto attuativo del patto di famiglia, una dichiarazione con la quale si impegna ad osservare le suddette condizioni. Per le assegnazioni agli altri eredi non vige il sistema di esenzione come per gli assegnatari, ma le donazioni eventualmente effettuate dall’assegnatario a conguaglio dovranno scontare la relativa imposta, seppure con esenzioni e franchigie. 

La materia è oggetto di rivisitazione ad opera dell’imminente decreto legislativo di riforma fiscale delle imposte di successione e donazione (in attuazione della legge delega 111/2023), che riporta anche alcune precisazioni di disciplina per patto di famiglia e trust.

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Nota bibliografica

BILOTTI E., La suprema Corte e la qualificazione del patto di famiglia. A proposito di Cass., n. 29506 del 2020, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2022, 121

BUSSI MORATTI A. e DUI P., Insieme verso il futuro – Come creare un Patto di Famiglia duraturo, Key Editore, Milano, 2023

CICONTE N., Patto di famiglia e liquidazione dei legittimari: questioni controverse, in Ventiquattrore avvocato, 2021, 7-8, 12

GABIANO A. M e PATRONE M., Struttura del patto di famiglia e trust: funzionalità degli istituti ed esigenze pratiche in Nuovo dir. civ., 2022, 1, 5

 

Pasquale Dui

è avvocato in Milano, dove opera dal 1982, occupandosi, di diritto civile e di diritto del lavoro. Ha sempre affiancato all’attività professionale l’insegnamento universitario, nelle materie del diritto privato e del diritto del lavoro. Ha curato la pubblicazione di 20 libri e di numerose monografie scientifiche, aventi per oggetto, tra l’altro, questioni civilistiche e lavoristiche. Organizza anche, per conto di primarie società operanti nel campo della convegnistica in presenza e on line, l’organizzazione di conferenze in ambito civile e lavoristico, essendo stato ed essendo ancora oggi relatore in molti simposi dedicati all’approfondimento delle materie suddette. È iscritto nell’Albo dei giornalisti e collabora correntemente con i principali quotidiani italiani, anche e soprattutto economici (Il Sole 24 Ore). È inoltre iscritto nell’albo dei Revisori Contabili (Revisori Legali).

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