di Elena Federica Marini

Ansia da settembre? Pianificare con metodo il lavoro in vista del rientro

Ci risiamo. Arriva luglio e nonostante la pianificazione e l’engagement – metodicamente stillato sin dall’inizio del progetto in ogni collaboratore e fornitore – si arriva lunghi alla consegna…proprio negli ultimi, caldi giorni di luglio.

Ed è agosto. Come un miraggio (fisicamente inteso, viste le temperature da record del 2022) finalmente ci si può rilassare, svagare, posare la penna e la testa. Ma dopo il primo giorno di viaggio e di distrazione, la testa torna al lavoro e, soprattutto, al rientro settembrino.

Chi si occupa di progetti anche con curiosità metodologica, sente ormai da anni parlare di Agility e Scrum Master method, approcci che, analogamente alle storiche basi del project management, nascono dall’esperienza IT- software per conoscere applicazioni le più disparate in termini di contesti e aree di business.

Come fare tesoro delle letture ricreative, degli articoli di LinkedIn, dei manuali di studio su questi argomenti, nella vita lavorativa quotidiana? Come valorizzare gli spunti raccolti per arrivare a settembre con un’ansia domata e con qualche utile strumento da applicare?

    1. Stand-up meeting? Lay down planning!

Daily standup, status meeting, coordination meetings…DAD, Scrum, Spotify, XP, SAFe, traditional PM…comunque la si metta, nonostante l’importante varietà terminologica, l’inizio del lavoro secondo ciascun approccio parte e procede attraverso meeting ordinati fra team member, gestiti da un team leader. Ma cosa c’è dietro le quinte? Come arriva il team leader a guidare le proprie persone o – ancor più complesso – dei team fluidi? Magari composti da risorse proprie, risorse di altri team, consulenti esterni indipendenti, soggetti che fanno parte non della “performing organization” ma afferiscono a uffici dell’organizzazione cliente…

L’approccio “agile” prescrive piccoli step – meeting veloci, con degli obiettivi chiari e capaci di adattarsi ai contesti…ma chi gestisce un team, e deve convocare tali meeting, affinché tutto questo sia un processo efficace e non solo un meccanismo compilatorio richiesto dal ruolo, deve decidere se, come e quando organizzare tali riunioni. Non basta fissare meeting continui per avere la certezza di gestire la situazione: è necessario pianificare, in serenità – anche da sdraiati sotto l’ombrellone- quali passaggi o goal sono strategici e scegliere così come impostare anche il lavoro di gestione.

Si perviene a questa capacità di giudicare il proprio lavoro quotidiano di coordinamento soltanto attraverso il distacco, fisiologico, ricorsivo, dagli oneri quotidiani e la conseguente visione di pianificazione…benvenuto il lay-down planning di agosto! Torneremo a settembre con più capacità di “vedere” se, quando, come serve calibrare il nostro ruolo di guida di un team e di un progetto.

   2. Combinare l’esistente. La fantasia di Munari al servizio del PM

Un altro mantra dell’approccio “agile” recita di considerare il contesto: personalizza l’ambiente di lavoro, i problemi probabili e le potenziali soluzioni.

Senza considerazione del contesto, si applica un modello sterile che non è capace di raccogliere, nelle sue maglie concettuali, i veri nodi che ogni progetto – per sua stessa natura- non può che presentare, prima o poi. Non solo. Non ascoltare il piccolo, avendo di mira solo il grande, significa non disegnare correttamente i goal e, neppure, distribuire responsabilità: se il meccanismo quotidiano di lavoro allontana, semplifica, le abitudini lavorative dei team member, una visione aperta al contesto obbliga ciascun componente a relazionarsi sempre e comunque con le condizioni reali.

E dove si trovano le soluzioni, una volta accettata la varietà dell’esistente (delle persone che lavorano per te, così come della complessità della realtà in cui si opera)? Secondo un antico ma sempre nobile approccio ludico (che non significa irresponsabile) …combinando l’esistente!

Alcune soluzioni possono non funzionare, altre, per quanto improbabili, nella loro iconicità simbolica, riescono a convincere tutti: chi lavora e il committente.

Così come il semplice meccanismo combinatorio – uno dei movimenti base della facoltà della fantasia descritta dal grande designer Bruno Munari – mette insieme il cavallo, le ali e il corno…e trova l’unicorno.

Ma, dopo aver raccolto in un lungo anno lavorativo tanti elementi, quando si riesce a combinare liberamente situazioni, persone, risposte, elementi, se non proprio mentre si è sollevati dall’onere quotidiano, ovvero mentre si è sdraiati sotto l’ombrellone?

 

Bruno Munari (Milano 1907- 1998)

   3. All models are wrong, but some are useful (George Box, 1978)

Recentemente nell’ambiente “Agile” si sente parlare dell’“Agile Industrial Complex” (Fowler, 2018) ovvero della febbre da “agile”, per cui ogni performing organization deve applicare metodologie e approcci “agili” perché questo è il trend, talvolta scadendo nell’ideologia sterile.

Tuttavia, questo indica qualcosa di importante: solo chi ha avuto un solido training costruito su forti rotaie può mettere in discussione un modello, perché i modelli, le procedure, i rituali sono consolatori, rassicuranti.

A qualcosa, sono utili: danno sicurezza a chi lavora, danno gratificazione (solo se sono chiare le istruzioni, si può giudicare se un lavoro è a regola d’arte), diventano argomento di riflessione critica.

Il caos anarchico, nonostante la sua intrinseca seduttività, non è mai utile sul lavoro: bisogna avere un modello, conoscerne i limiti, sapere che è falsificabile, giudicarlo e tenere ciò che di buono c’è in senso utilitaristico: ciò che funziona per me e per il mio team.

E quando si può finalmente giudicare il proprio modello? Quando si ha tempo, per dirla con Dan North, di “visualizzare, stabilizzare, ottimizzare” in meglio proprio modo di organizzare il lavoro per sé e per gli altri… se non a partire dal sacrosanto tempo dell’ombrellone?

Buone vacanze a tutti!

PS: consigli di lettura estivi, in ordine sparso

 

Elena Federica Marini

Classe 1985, liceo classico, laurea in filosofia: ha studiato e lavorato in Francia e in Germania dove ha affinato le sue conoscenze linguistiche. Rientra a Milano per lavorare nel PMOffice di una multinazionale italiana nel settore della consulenza, per la quale segue progetti finanziati e progetti speciali nella divisione servizi alla PA, da project officer fino a responsabile di progetto.  Affina le sue skills con un Master Executive in Project Management e ottiene la certificazione PMP nel 2016: da allora è attiva nelle iniziative sperimentali e divulgative del PMI – Italy chapter. É Executive Director e Senior Project Manager per BIA – Intangibile Heritage & digital preservation: si occupa, per committenza pubblica e privata, di progettazione in ambito culturale-creativo, di consulenza in materia di rapporti istituzionali e di mediazione strategica.