di Luigi Vennitti

La parola “transizione”, dal latino transitionis, a sua volta dal verbo transire “passare”, è definita come  “passaggio da un modo di essere o di vita a un altro, da una condizione o situazione a una nuova e diversa ” (cfr cit. Treccani). Racchiude quanto di più complicato ogni manager di azienda si trovi oggi ad affrontare. In una situazione mondiale instabile come quella odierna le parole Transizione Ecologica, Transizione Energetica, Climate Change, Economia Circolare, possono sembrare così lontane. In realtà non sono solo attuali e strettamente correlate tra loro, ma rappresentano scelte quotidiane che devono essere fatte per poter ridisegnare i modelli attuali nel prossimo futuro. Ogni realtà organizzativa, indipendentemente dal settore di appartenenza, oggi si deve misurare con le sfide quotidiane dettate dalla necessità di cambiamento in quasi tutti gli ambiti di gestione. Valutazione di fonti alternative energetiche e di approvvigionamento delle materie prime, individuazione di iniziative e progetti di economia circolare per il reimpiego dei rifiuti, ottimizzazione dei processi di produzione per ridurre i consumi e le emissioni, reingegnerizzazione dei modelli logistici per contenere i costi e raggiungere una mobilità sempre più sostenibile, digitalizzazione dei flussi aziendali, sono solo alcuni degli esempi che si possono fare.

Servono risorse e progetti mirati

Per mettere in campo azioni efficaci che possano garantire il raggiungimento degli obiettivi connessi con gli ambiti sopra citati, non c’è dubbio che le organizzazioni debbano garantire risorse e investimenti in progetti ben precisi . La creazione di un portafoglio che preveda una spesa mirata in programmi e progetti dedicati è il primo passo per aprirsi una strada verso il cambiamento. La prima cosa quindi è la pianificazione a lungo termine accompagnata dalla valutazione delle potenziali fonti di finanziamento da cui attingere. Esse possono essere sia di finanziamento diretto dell’organizzazione, sia esterne in toto o in percentuale. Quelle esterne possono provenire ad esempio dai bandi europei connessi ai progetti di innovazione e transizione ecologica (es. programmi Horizon, Life etc.) oppure dai bandi nazionali del PNRR che vede una grossa parte di risorse dedicate ai progetti in ambito transizione ecologica, innovazione, digitalizzazione ed economia circolare. Per la corretta valutazione delle possibili fonti di finanziamento e dei bandi è di fondamentale importanza lavorare con esperti di settore, consulenti e tecnici, che sappiano consigliare e guidare l’organizzazione nella giusta direzione. Anche la collaborazione con enti, associazioni, università e società di ricerca attraverso partnership e lavori pregressi è di grande rilevanza nella costruzione di rapporti e partenariati di valore che possano aprire la strada a progetti rilevanti.

Una volta individuati i progetti e come finanziarli, l’altra cosa necessaria è quella di dotarsi del “know how” adeguato formando il personale e valorizzando le risorse interne all’organizzazione che possono contribuire ad un dato progetto. Gli skill necessari possono essere reperiti esternamente all’azienda, ma in molti casi le risorse umane necessarie sono già in casa. Il segreto è la costituzione di un team vincente di progetto in cui ciascuno si senta partecipante attivo e dove le risorse interne ed esterne all’organizzazione collaborino proficuamente e secondo ruoli e attività precise e ben definite. 

Avvalersi di esperti e tecnici di settore è uno degli strumenti migliori per soddisfare i requisiti necessari alla realizzazione e messa in opera di un progetto. In particolar modo è fondamentale conoscere le condizioni, le normative e le leggi specifiche per ciascun ambito e progetto specie se riguardano attività che necessitano valutazioni d’impatto ambientale. È importante non sottovalutare tale aspetto poiché nella maggior parte dei casi è un fattore critico di successo (o fallimento) di questo tipo di progetti e risulta determinante riuscire a districarsi in quello che oggi appare come un vero e proprio labirinto normativo e burocratico!

Muoversi in uno scenario sempre più complicato

Immaginiamo oggi un’azienda italiana manifatturiera e mentre lo facciamo non va sottaciuto che l’Italia è la seconda realtà manifatturiera europea dopo la Germania. Al di là della specifica manifattura di produzione, questa ipotetica azienda dovrà sicuramente preoccuparsi dell’approvvigionamento delle materie prime, dei suoi costi energetici, del suo impatto ambientale etc. Il tutto considerando anche il contesto competitivo in cui, se non consideriamo le civiltà del cosiddetto occidente (Europa, America ed Oceania),  questa società si troverà a confrontarsi e cioè con paesi che non sono affatto più del terzo mondo come  Africa, Cina, India. Questi paesi producono generando impatti ambientali decine e decine, se non centinaia, di volte maggiori di quanto facciano gli “occidentali” e con costi energetici praticamente irrisori non dovendo comprare (nella maggior parte dei casi) energia da terzi, ma avendone disponibilità in casa propria…. 

Ecco che la transizione entra in gioco… il cambiamento… da una condizione ad un’altra…. Pensiamo ad esempio ad un  progetto di installazione di un impianto fotovoltaico per risparmiare energia ed essere più competitivi. Bisogna considerare che la normativa è estremamente complicata ed oggi i fotovoltaici non possono consumare terreno, quindi vanno sui tetti, ma in una manifattura sotto un tetto ci può essere un pericolo di incendio, e quindi l’autorizzazione dei vigili del fuoco è estremamente complicata ed il processo diventa lungo ed irto di insidie. Altra cosa che viene immediatamente chiesta è come verrà smaltito il pannello (che tecnicamente l’azienda non conosce e che deve ancora installare) e quale sarà il suo impatto ambientale. In molti casi quindi si rischia di ritrovarsi vittime di un paradosso secondo cui la volontà di diminuire il consumo di energia fossile, attingendo dal sole, viene vista come una potenziale fonte d’inquinamento, relativa ad un pannello che devo smaltire, e di rischio incendio, il tutto con conseguente impatto ambientale negativo! 

Al contrario il resto del mondo viaggia a velocità diversa perché in altri contesti geografici a volte basta una semplice dichiarazione di installazione.

Il rischio quindi è che nella pratica il tutto si trasformi in una transizione energetica bellissima sulla carta che ci permetterebbe di beneficiare di una fonte energetica pulita come quella solare, ma frenata dalla complessità burocratica e nella realtà difficilmente realizzabile… 

Non facciamoci scoraggiare dalle barriere burocratiche

Facciamo un altro esempio, ripensiamo alle materie prime e ad un progetto di recupero di sottoprodotti da altre industrie. Senza dubbio si tratta di una buonissima cosa dato  che l’Italia non ha praticamente materie prime e le poche miniere che ha vengono chiuse perché impattanti negativamente sull’ambiente compreso i giacimenti di gas, etc. Seguiamo l’onda dell’economia circolare e cerchiamo di trasformare quello che è un rifiuto in una materia prima, valorizzando l’unica cosa che abbiamo in Italia, i rifiuti. Ma al primo passo ci troviamo di fronte al Testo Unico Ambientale in cui vengono chieste autorizzazioni comprensive di valutazioni di impatti ambientali per semplici recuperi e ci si scontra con iter autorizzativi impossibili. Nello stesso tempo sosteniamo una spesa enorme destinata ai nostri vicini tedeschi e francesi per far loro prelevare i nostri rifiuti destinati ai loro inceneritori e poi, per assurdo, ci rivendono anche l’energia che hanno prodotto con i nostri rifiuti… e noi paghiamo due volte.

Allora come ci si può difendere? 

In molti casi lo sponsor, il manager di funzione, o chi guida il progetto per l’azienda (il project manager) si sentono profondamente scoraggiati da quelle che appaiono come vere e proprie barriere insormontabili, quantità esagerate di permessi, dichiarazioni e norme da dover soddisfare per la realizzazione dei loro progetti. Uno dei motivi per i quali molte iniziative falliscono addirittura prima di passare dall’idea alla proposta. Ma è importante non farsi trovare impreparati e non desistere anche quando sembra che i requisiti siano davvero insoddisfacibili. Per farlo uno dei metodi che possono essere usati è quello della corretta pianificazione e gestione dei rischi individuando dall’inizio i potenziali fattori negativi, le normative più esigenti e basilari , le possibili minacce e le risposte ad esse. Questo vuol dire fare una buona valutazione dei rischi e definire anche quelli che siamo disposti ad accettare.

Altra arma di difesa che possiamo adottare è quella di considerare la giusta contingency nelle stime dei tempi e dei costi di progetto. Per contingency intendiamo sia una riserva di gestione del progetto  che si riferisce alla parte di budget destinata alla gestione di situazioni completamente impreviste per le quali non è stato possibile né identificare né svolgere un’analisi dei rischi, sia una riserva di budget relativa ai rischi noti che consenta di sostenere i costi legati alle azioni da mettere in atto in risposta ai rischi individuati. 

In questo contesto anche un adeguato coinvolgimento degli stakeholder interni  ed esterni all’organizzazione è una cosa che ci viene in aiuto. Tenere in adeguata considerazione tutti i portatori di interesse lavorando sull’engagement e sulla soddisfazione delle loro esigenze porta enorme vantaggio al progetto e consente molto spesso di anticipare problematiche e di superare i conflitti.

Conclusioni

In molti casi quando parliamo di transizione (non solo ecologica) e dei potenziali progetti ad essa connessi ci viene da pensare “poveri manager Italiani… agili, skillati, leader, piccoli imprenditori alla ricerca di opportunità, con tante soft skill per la gestione dei conflitti e delle complessità… ma che molto spesso non si sentono pienamente supportati da un sistema adeguato.”

Questo purtroppo è vero in molti casi, ma la sfida è proprio quella di riuscire, per quanto è nelle possibilità di ciascuno, a superare le barriere e gli ostacoli pianificando il più possibile, avvalendosi del parere di esperti, costruendo buoni team di progetto, facendo una corretta valutazione e gestione dei rischi e coinvolgendo gli stakeholder con una comunicazione attiva. Il tutto ovviamente tenendo sempre a mente quelli che sono gli output di progetto, i requisiti di qualità di tempi e di costo. 

Vi sembra troppo? Forse la sfida è proprio questa!

 

Luigi Vennitti

È ingegnere chimico, dopo la laurea conseguita all’università di Bologna si forma come Responsabile di Produzione nell’industria chimica dei fitofarmaci presso la S.T.I Solfotecnica Italiana terzista per importanti multinazionali di settore. Dopo un’esperienza pluriennale nel settore dell’industria chimica di processo, attualmente ricopre il ruolo di Direttore Industriale per Puccioni 1888 S.r.l. leader della produzione di fertilizzanti per l’agricoltura. È referente primario nell’elaborazione di proposte progettuali in programmi europei di innovazione ed economia circolare (Life, Horizon etc.) con università e enti di ricerca. È membro del comitato della Piattaforma Italiana del Fosforo presso ENEA, del comitato Energia ed Economia Circolare di Federchimica.