È davvero soltanto a causa di eventi straordinari che la volontà al cambiamento viene messa a fattor comune per rinnovarci e innovarci nella vita come nel lavoro? É una brutta domanda, ma farla è d’obbligo. Ci riflettevo proprio pochi giorni fa. Non è una novità parlare di change management e di tutti quegli sforzi che una organizzazione deve fare per gestire i grandi cambiamenti, voluti o subiti. Però è un tema che oggi diventa più attuale che mai. Questo perché gestire il cambiamento significa prima di tutto gestire l’aspetto umano, guidare le persone lungo un percorso articolato orientato a nuovi obiettivi e a diverse consuetudini.
Sappiamo che una naturale resistenza al cambiamento è la prassi e che il blocco strutturale in cui si sono ritrovate molte imprese, enti ed organizzazioni in tutti i settori ha senza dubbio pesato sulla situazione d’emergenza che ci si è presentata. In futuro solo chi avrà saputo sapientemente tenersi al passo, o anticipare i tempi e, per certi aspetti, ribaltare l’approccio tradizionale agli assets tecnologici attuali riuscirà a sopravvivere. Una rivoluzione, purtroppo coatta, che ha riguardato tutto e tutti senza distinzione di settore, mercato, nazione, razza, età, ambito ed emisfero!
Serviva davvero una tragedia per farci aprire gli occhi? La naturale evoluzione di ogni cambiamento deve realmente essere vincolata a catastrofismi o ad epidemie che impattino la parte bassa della piramide di Maslow? Domande retoriche che come sempre, e giustamente, lasciano ampio spazio alla risposta di ognuno, ma che sicuramente fanno riflettere sul fatto che la gestione del cambiamento sia al 100% connessa con la rivoluzione digitale tecnologica che dobbiamo attuare, a regime e in situazioni di rischio, per superare le barriere tecnologiche e per arricchire il nostro patrimonio di smart living (per la serie non solo smart working!).
Per comprendere i passi base per attuare tutto questo il change management ci viene in aiuto in modo perfetto. Chi da anni pratica una politica di attitudine al nuovo e di propensione al cambiamento sa di cosa parlo. Nel change management la fase di incubazione e di preparazione, è seguita da un piano d’azione, di governance e di comunicazione a sostegno. Essenziale è poi una fase di progettazione che comprenda tutte quelle iniziative che hanno l’obiettivo di coinvolgere le persone, individuare le criticità e le opportunità per dare forma alle azioni che devono essere definite in un piano operativo. Nella pratica poi ci sono i progetti, la loro realizzazione, e il loro controllo e misurazione per il raggiungimento degli obiettivi.
Però per consentire di raggiungere in profondità gli effetti desiderati questi strumenti necessitano di essere integrati con una sufficiente comprensione del contesto dal punto di vista individuale e del conservatorismo dinamico delle organizzazioni in analogia al principio di conservazione di una specie che induce le persone ad auto proteggersi dai cambiamenti non originati dalla propria volontà. (Schön )
Ecco allora che la formula per misurare la resistenza al cambiamento: D x V x F > R (Gleicher)
D = Dissatisfaction – esprime la insoddisfazione per la situazione attuale; V = Vision – indica la progettualità, la capacità di definire la situazione futura; F = First steps – quantifica i primi passi concreti fatti verso la direzione che è stata definita e annunciata; R = Resistance – misura la resistenza incontrata dal cambiamento
esprime il concetto fondamentale che riesce a cambiare soltanto colui che è sufficientemente consapevole delle energie necessarie a farlo ed è disposto a sostenere il proprio cambiamento con una forte volontà (o un forte mandato), piuttosto di chi è costretto a farlo travolto dalle proprie difficoltà.
Se non lo comprendiamo ora rischiamo di imbatterci ahimè in un’amara sconfitta che vira verso una politica di management “gattopardiana” (per citare il romanzo di Tomasi di Lampedusa) dove “bisogna cambiare tutto per non cambiare niente” e sfociare in uno scenario dove si concretizza un management immutato e incapace di rispondere al cambiamento…un unchanged management insomma!
Articolo di Silvia Donatello
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