di Riccardo Bubbio

Leggi qui la prima parte dell’articolo. 

Oggi  il cambiamento non è solo innescato  da eventi imprevedibili, esogeni ed estremi come una crisi sanitaria globale, terremoti, guerre, disastri ambientali, sebbene questi elementi siano ancora tutt’oggi presenti (leggiamo queste notizie tutti i giorni sui quotidiani), ma nella realtà lavorativa perlomeno di chi lavora nel perimetro UE, il cambiamento è rappresentato da fattori organizzativi interni all’azienda o dalle mutate condizioni del mercato o ancora dall’evoluzione tecnologica che di fatto obbliga le aziende a stare al passo dei competitor. Il cambiamento avviene in questo caso come una crisi prevedibile, ovvero come il risultato di un processo evolutivo intrinseco all’organizzazione stessa che, in quanto soggetto vivo, necessita di progredire ed evolversi.

La paura dell’ignoto

In tutti i casi, un’organizzazione che vuole cambiare chiede alle persone di confrontarsi con la paura dell’ignoto, che mette in crisi il senso di sicurezza riguardo sia a sé stessi che nelle relazioni con gli altri (colleghi, capi, clienti). Alcune persone possono affrontare l’angoscia aggrappandosi a vecchi schemi di comportamento; altri, quelli che si aspettano che il cambiamento richieda loro di imparare un nuovo lavoro o di lavorare di più, potrebbero temere di non avere né il talento né la forza per farlo. Altri ancora potrebbero aver paura di vedersi portar via una buona situazione lavorativa o una sensazione di libertà. Alcuni, poi, possono temere che il cambiamento implichi una perdita di responsabilità e di autorità, fino a essere terrorizzati dalla perdita, appunto, di status, di diritti e di privilegi.

Ed è proprio dal 2019 in poi che le organizzazioni  – anche a causa della pandemia  – hanno dovuto iniziare un brusco percorso di cambiamento e gli anni a seguire, finita l’emergenza covid, sono stati contrassegnati da grande incertezza economica, dalla ripresa dei conflitti globali e da una corsa all’utilizzo di nuove tecnologie (una per tutte l’Intelligenza Artificiale) con un impatto anche su settori lavorativi che fino a poco tempo prima non erano toccati da grandi progetti di cambiamento (aziende finanziarie e assicurative, servizi sanitari, studi professionistici etc.)

La mia personale opinione è che anche se il benessere sui luoghi di lavoro (perlomeno nel perimetro UE) è oggettivamente sempre aumentato negli anni, le Persone percepiscono un’insicurezza crescente dovuta ai continui cambiamenti a cui sono sottoposte ed è proprio questa insicurezza che determina l’insoddisfazione, l’aumento dello stress e in sintesi un calo della performance lavorativa.

La sicurezza psicologica

Ecco che diventa indispensabile per le Organizzazioni e in particolare per i Leader, attivare una serie di iniziative che permettano di accompagnare (e non solo lo spingere) le trasformazioni attraverso una comunicazione chiara e trasparente e garantendo una certa soglia di sicurezza psicologica, ovvero una sicurezza di tipo relazionale e sociale.

Alcuni suggerimenti pratici possono essere quelli di comunicare e dialogare con le Persone relativamente ai seguenti temi:

  • perché il cambiamento è richiesto e desiderabile: questa operazione serve a costruire una visione comune, grazie al fatto che dona senso e significato alla direzione che si vuole intraprendere, e contemporaneamente favorisce nelle persone la percezione di essere parte attiva, coinvolta, informata;
  • cosa cambierà, quali saranno i nuovi obiettivi è infatti dimostrato che il raggiungimento di un obiettivo genera dopamina nel cervello e fa sentire bene le persone, così come renderli raggiungibili e monitorabili da chi è direttamente coinvolto;
  • quali sono i tempi di sviluppo del processo: il senso del tempo sembra derivare da uno dei sistemi motivazionali innati dell’uomo, che ci permette di anticipare i vari eventi. Comunicare i tempi di un cambiamento significa migliorare la capacità della mente di prevederlo e pianificarlo, permettendo alle persone una migliore organizzazione delle attività;
  • quale sarà il supporto fornito: l’appartenenza è un potente motivatore per il cervello umano e la sensazione di avere qualcosa in comune con gli altri è fondamentale per sostenerlo. Ad esempio, la parola “insieme” sembra attivare alcuni centri deputati alla ricompensa nel cervello. Per questo, in un processo di cambiamento, è utile informare le persone che potranno contare su un sostegno sociale e su una rete di relazioni.

La finalità di questi step è quella di stabilire un nuovo contratto psicologico, che implica obblighi e impegni reciproci tra i dipendenti e l’organizzazione. Se il clima interno è sufficientemente buono da far sentire le persone al sicuro, allora è possibile accendere il desiderio di cambiamento alimentando curiosità, energie motivazione verso le nuove  esperienze: dal punto di vista del cervello, infatti, è l’esperienza, non la conoscenza, a consentire alle persone di creare nuovi percorsi neurali, ed è sempre il cervello a farci percepire le sensazioni di benessere o di malessere in un determinato contesto.

In conclusione

Gli interventi in welfare non si traducono in una maggior produttività se la nostra mente non percepisce l’ambiente come “sicuro” e/o il cambiamento come desiderabile in quanto volto ad un miglioramento futuro delle condizioni lavorative.

Informazione e inclusione sono le parole chiave che consentono alle Persone di poter sentirsi coinvolte e ingaggiate nelle loro attività: la prima serve a dare elementi alla nostra mente per anticipare il futuro e quindi sperabilmente a mitigare la paura del cambiamento, la seconda dà voce al nostro cervello sociale, che ha bisogno di sentirsi incluso e ascoltato.

Infatti, studi neurobiologici affermano che la socialità è alla base della sopravvivenza e dell’adattamento, e le specie che sanno utilizzare meglio i meccanismi sociali di azione coordinata presentano un significativo vantaggio al fine della sopravvivenza sia nella jungla che nei luoghi di lavoro!

Dello stesso autore

Persone e Organizzazioni: il benessere delle Persone influisce sulla performance aziendale

Riccardo Bubbio

Vicepresidente dell’Associazione per la Direzione del Personale Piemonte e Valle d’Aosta e coordinatore del progetto Neuroscienze applicate al HR, autore di libri e articoli e conference speaker.

Ha ricoperto numerosi ruoli manageriali in aziende bancarie, occupandosi di Risorse Umane e di modelli organizzativi; si è specializzato nello studio e della applicazione delle nuove metodologie formative e di sviluppo competenze connesse al cambiamento e alla trasformazione della cultura aziendale.

Ha contribuito alla scrittura e curato la pubblicazione del libro “Il Cervello al lavoro” Franco Angeli 2022  e del libro “PlaytheBrain – neuroscienze al lavoro” Franco Angeli 2024.

Svolge attività di docenza presso l’Università degli Studi di Torino ed è membro del Comitato Scientifico del Master in Organizzazione e Risorse Umane presso la stessa Università.

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