di Ugo Di Giammatteo

Bisogna farsene una ragione

La realtà è sempre più complessa. Probabilmente lo è sempre stata ma in passato la maggior parte degli esseri umani non aveva né la capacità di riconoscere la complessità, né – tantomeno – le informazioni e gli strumenti culturali per affrontarla. La complessità sconfinava nel mistero, era affidata ai sapienti e ai sacerdoti.
Oggi la complessità è più visibile e diffusa, si manifesta nella società, nella tecnologia, nella politica.
Alcuni la ignorano, cercando soluzioni semplici e sbrigative ai problemi complessi che li circondano e usano gli slogan più del ragionamento (vediamo ogni giorno personaggi del genere). Altri, per fortuna, la affrontano seriamente.
Fra quelli che sono costretti a misurarsi con la complessità ci sono a pieno titolo i project manager, quelli cioè che fanno accadere le cose, trasformano la teoria in prassi quotidiana per ottenere risultati concreti.
Per raggiungere i propri obiettivi i project manager hanno il dovere professionale (oltre che morale) di riconoscere la complessità, analizzarla e gestirla. Anche il più semplice dei progetti è per sua natura un organismo complesso in quanto si sviluppa su almeno tre dimensioni: il tempo, il costo e il risultato da ottenere.
La complessità cresce (purtroppo non linearmente) con la grandezza del progetto, con il numero di attori (interni ed esterni) e con il livello di innovazione atteso dai risultati. È infatti evidente che quanto più ci si discosta da risultati standard, già raggiunti tante volte, tanto più la gestione del progetto comporta rischi ed incertezza.

La complessità particolare dei progetti europei

Nell’ambito dei progetti, quelli europei rappresentano un caso esemplare di complessità:
– sono quasi sempre fortemente innovativi,
– riuniscono persone di nazionalità e culture diverse,
– comprendono istituti di ricerca e aziende grandi e piccole
– si pongono obiettivi sociali, economici e scientifici.
Chi gestisce un progetto europeo deve pertanto essere capace di affrontare la complessità, di non farsene sopraffare, anzi trarne vantaggio per raggiungere i propri obiettivi.
Il primo passo è riconoscere e accettare la complessità, prendere atto che è una caratteristica essenziale del proprio progetto e che bisognerà usare tutte le proprie capacità professionali, tecniche ma soprattutto umane per affrontarla con successo.
Poi bisogna rendersi conto che la complessità non si affronta da soli, è il gruppo che si deve organizzare, unire, esercitare continuamente per portare a casa i risultati. L’uomo solo al comando non funziona con i progetti, tanto meno quelli europei!
Bisogna conoscere bene i metodi e gli strumenti generali (1) e specifici (2) ma occorre essere capaci di declinare metodi e strumenti secondo le necessità particolari del progetto.

Tutti quanti voglion fare il Jazz

Una metafora della gestione della complessità è, in questo senso, l’improvvisazione Jazz.
Il Jazz è principalmente musica di insieme, in cui ogni strumento ha una sua funzione ma è solo la combinazione degli strumenti che dà il suono e il sapore particolare di un brano. L’improvvisazione jazzistica è il paradigma della applicazione flessibile delle regole. Un assolo è composto dallo strumentista al momento dell’esecuzione ma segue sempre delle regole: quelle dell’armonia, del ritmo e soprattutto dell’interazione continua con gli altri musicisti (e col pubblico). Inoltre il musicista ben preparato ha nella sua “cassetta degli attrezzi” decine di schemi, di frasi pre-composte e deve essere capace di metterle insieme secondo il proprio gusto e la propria sensibilità.
Qual è allora il criterio per giudicare la bontà di un’improvvisazione?
Molto semplicemente l’estetica. Se il brano è piacevole, se riesce a coinvolgere e far emozionare gli ascoltatori è una musica riuscita.
E nel caso dei progetti europei?
Qualcosa di simile, secondo gli antichi greci: l’etica! Se un progetto europeo, contribuisce alla crescita morale, scientifica e umana della comunità allora è un progetto riuscito.
Questo è il “goal” cioè l’obiettivo strategico, che si raggiunge attraverso i vari obiettivi intermedi (i “deliverable”) che vengono costruiti applicando, creativamente, le metodologie.

Attenti alle sirene!

Un’altra caratteristica fondamentale del project manager europeo è la capacità di passare continuamente dalla prospettiva ampia alla visione di dettaglio. Bisogna essere capaci di fare “Zoom-In” e tornare rapidamente al quadro generale, in un continuo processo di aggiustamento. Niente di nuovo, per carità, è la classica contrapposizione analisi-sintesi.
L’aspetto peculiare è che nell’analizzare i dettagli spesso il project manager europeo non ha tutte le competenze tecniche necessarie per comprendere completamente le problematiche. Questo è inevitabile, in quanto i progetti europei sono generalmente multi-disciplinari e non si può pretendere di essere dei tuttologi (categoria di cui peraltro conviene diffidare).
Il project manager esperto, senza scendere nei dettagli minimi, deve avere la capacità di valutare gli effetti di una problematica tecnica sugli aspetti progettuali: slittamento dei tempi, aumento dei costi, impatto sulla qualità.
Per raggiungere questo risultato fa appello alle sue conoscenze tecniche (che ovviamente non guastano) ma senza farsi avviluppare dai particolari e riportando alla realtà del progetto gli esperti di settore, affascinati dalle sirene del mare tecnico-scientifico.
Tuttavia le competenze, tecniche e gestionali, non bastano. Servono anche e soprattutto sensibilità e capacità di comunicazione, occorre ascoltare con attenzione e partecipazione, cogliere le sfumature (spesso non verbali). Alla fine bisogna prendere delle decisioni, bilanciando gli obiettivi strategici delle organizzazioni, le aspirazioni delle persone e i vincoli del progetto.
Alla base di tutto questo resta l’etica. Per gestire un progetto bisogna godere della stima di quelli che ci lavorano e la stima si ottiene e si mantiene solo se ci si comporta in maniera chiara, onesta e rispettosa.

Ambizioni

Tutto questo vi sembra ambizioso?
È enormemente ambizioso, perché l’Europa unita è una dei progetti più ambiziosi dell’umanità!
Non era mai successo che un gruppo di stati e di popoli che si erano combattuti ferocemente per millenni decidessero spontaneamente di unirsi e cooperare in pace (3).
È un percorso difficile, minacciato da nazionalismi, diffidenze e pressioni esterne.
Un percorso straordinario che dobbiamo seguire con determinazione e tenacia.
Il project manager europeo deve essere all’altezza di questa ambizione e non perderla mai di vista. È un dovere che abbiamo verso le generazioni che ci hanno preceduto e verso noi stessi che di questo meraviglioso progetto siamo, nel nostro lavoro, protagonisti.

(1) A Guide to the Project Management Body of Knowledge (PMBOK® Guide).
(2) Project management e progetti europei – Sinergie, buone pratiche, esperienze, Franco Angeli 2021.
(3) Jeremy Rifkin – Il sogno europeo, Mondadori 2014.

Foto-Ugo-Di-Giammatteo

Ugo Di Giammatteo

Laureato in Ingegneria elettronica. Attualmente Project Manager presso INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), ha lavorato dal 1991 nell’industria aerospaziale come Project manager, Business analyst a Business developer.  Ha partecipato come PM a numerosi progetti europei in ambito FP5, FP6, FP7 e Horizon 2020. Valutatore e reviewer di progetti europei, è docente in corsi di Project management e Business analysis. È certificato PMP®, PMI-PBA®, PMI-RMP®, PRINCE2, UNI 11648 e 11506. Co-autore del libro “Project management e progetti europei. Sinergie, buone pratiche, esperienze” (FrancoAngeli 2021).